“La mafia teme più la scuola che la giustizia”. Laura Grata di Libera Milano docente d’eccellenza del QAR. Il report di Ludovica
Il 6 ed il 7 Aprile il Quarto Anno Rondine ha avuto la possibilità di incontrare Laura Grata di Libera Milano instaurando una discussione sulle Mafie. È un tema particolarmente toccante per me che, venendo da un paese calabrese, sento parlare spesso di ‘ndrangheta, di clan mafiosi, di persone che portano cognomi ‘ingombranti’.
Abbiamo iniziato il nostro incontro domandoci cosa sia la mafia, come si manifesti, quali siano i modi per bloccarla e cosa possiamo fare noi, singolarmente, da cittadini attivi. Le mafie vengono descritte come delle associazioni criminali il cui scopo è quello di ‘far quattrini’ attraverso le estorsioni, lo spaccio di droga, gli appalti truccati. Oggi mi rendo conto che è un qualcosa di così grande da non poter essere espressa in modo così riduttivo. La mafia è un potere che vuole farsi Stato, che vuole controllare l’intero territorio, è una rete che intrappola le persone, è gerarchia, rispetto di particolari regole e riti, è manipolazione di vite.
La mafia, chiamata in modo diverso a seconda del luogo in cui agisce, è il cancro che il territorio italiano porta avanti da ancor prima della nascita vera e proprio del nostro Stato. Le associazioni criminali si sentono potenti perché credono di non poter essere mai fermate e noi, dicendo o anche solo pensando che non c’è nulla da fare, che questo fenomeno non potrà mai essere combattuto, smettiamo di essere la parte attiva ed onesta della nostra società.
Con il passare del tempo, la ‘ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita, cosa nostra sono riuscite ad espandersi a macchia d’olio e, partendo dai posti in cui sono nate, hanno trovato affiliati in tutta Italia, allungando i tentacoli di una piovra che si è inserita, ormai, nei tessuti più profondi del nostro sistema. È assurdo pensare che ancora, in una città come Milano, si continui a dire che la mafia non esista, proprio come succedeva negli anni ’70 a Palermo. La metropoli non ha il coraggio di ammettere e non vuole sporcarsi di questo peccato nonostante i fatti di cronaca, gli arresti, le confische di beni parlino chiaro. In nessun posto saremo al sicuro finché saranno presenti intorno a noi persone che uccidono senza scrupoli, con freddezza, che fanno della prepotenza e della violenza le loro uniche leggi.
E ora tocca noi agire. Abbiamo il diritto ed il dovere di conoscere ciò che ci sta intorno, di capire cosa è successo ieri, solo così possiamo progettare il nostro domani. Se la gioventù le negherà il consenso anche l’incubo della mafia svanirà. Si dice che questo tema più la scuola che la giustizia. Io creda che tema l’istruzione perché è grazie a questa che la mente di un giovane si forma, che questo decide da che parte stare, se subire o meno, se avere un comportamento attivo o passivo rispetto a ciò che gli sta intorno, se chiudere gli occhi e continuare a ‘dormire sonni tranquilli’ o aprirli ed iniziare a combattere, combattere a favore dello Stato. L’onore è più forte della gloria che posso dare i soldi, i beni, i terreni o il finto rispetto di poveri uomini che non hanno la forza ed il coraggio di ribellarsi. La nuova strategia di contrasto alle mafie è strappare loro le nuove generazioni e questo è possibile solo grazie ad una fervida unione tra istruzione servizi. La scuola è il trampolino di lancio per una vita migliore che con fatica, ma anche con gioia, possiamo crearci. È con orgoglio che dico di frequentare il Liceo Scientifico R. Piria di Rosarno, citato dalla professoressa Grata nel corso del suo intervento, che mi ha dato la possibilità di prendere parte a manifestazioni contro la delinquenza, mi ha permesso di incontrare giudici, di avere testimonianze chiare e dirette su ciò che accade nel mio territorio. È proprio partendo dal mio liceo che si ispira il libro ‘Generazione Rosarno’ di Serena Uccello, che descrive la vita dei figli di ‘ndranghetisti, di testimoni di giustizia, di vittime della criminalità organizzata che dividono lo spazio con ragazzi ‘comuni’, figli di persone ‘comuni’ senza sentirsi diversi, senza che ci sia discriminazione e lotta. Ogni mattina, tutti noi giovani alunni lasciamo fuori il cancello del Piria il nostro passato, qualunque esso sia, e trascorriamo ore a progettare, insieme, il nostro futuro capendo che non è particolarmente importante ciò che abbiamo alle spalle ma la voglia di ricominciare, di ripartire da zero, di essere artefici del nostro destino.
Se c’è una cosa che ho capito è che mentre la mafia semina violenza, morte, corruzione, paura, terrore noi possiamo seminare giustizia, lealtà, fiducia, speranza, cambiamento.
Dobbiamo ricordarci che il mondo si divide in due: ciò che è stato e ciò che sarà.
Ludovica
08 aprile 2016