Uno sguardo che abbraccia presente e passato e futuro. Intervista a Giovanni Grandi

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Domitilla Arusa ed Ester Messeri intervistano il professor Giovanni Grandi, docente di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Padova, ideatore del Percorso Ulisse e formatore del modulo dedicato all’interiorità.

Il percorso dell’interiorità è stato protagonista del nostro primo periodo di formazione a Rondine, ma ci accompagna tutt’ora, e così farà anche dopo la conclusione di questa esperienza che è il Quarto Anno Rondine. Ancora una volta Rondine non fornisce solo conoscenze e contenuti, ma soprattutto strumenti!

 

Da cosa è nata l’idea di questo percorso?

 

L’idea è nata quando ci siamo resi conto che per rendere più efficace il percorso formativo era necessario iniziare lavorare non solo sul conflitto esteriore, quindi interpersonale, ma anche su quello interiore, cioè sulle tensioni che sperimentiamo in noi stessi quando siamo in condizioni difficili, che chiedono di fare delle scelte. Le due forme di conflitto sono strettamente collegate, dal momento che scegliere la via della ricomposizione delle divergenze (che poi è la via della riparazione e della pace) ci chiede di riuscire a fare un po’ più di spazio nella nostra visione della vita, di rivedere le nostre pretese e tutto questo richiede un notevole lavoro interiore.

Quindi ci siamo proposti di sviluppare un percorso che potesse aiutare ad affrontare le tensioni interiori, a trasformarle in senso generativo. Abbiamo constatato che, affinché  il lavoro risultasse efficace era necessario offrire, oltre a delle indicazioni teoriche, anche degli strumenti veri e propri per accompagnare ognuno nel percorso alla scoperta della propria interiorità.

Quindi abbiamo deciso di rielaborare una parte del Percorso Ulisse come una vera e propria esperienza laboratoriale di accompagnamento al cambiamento. Siamo partiti nell’anno Zero semplicemente con due sessioni tematiche pomeridiane, poi l’anno successivo le abbiamo riprogettate aumentando gli spazi di laboratorio e creando un primo contesto di full-immersion; con l’anno Due abbiamo confermato la soluzione della full-immersion per offrire gli strumenti, ma abbiamo anche scelto di dilatare l’ingaggio del percorso lungo tutto l’anno, valorizzando i momenti di colloquio individuale e quindi di personalizzazione dell’itinerario e prevedendo delle tappe successive periodiche – curate in particolare da Francesca Simeoni – e due momenti forti di supervisione, a metà e a fine anno.

 

Perché  questo lavoro è importante per i ragazzi di quarta superiore?

 

Questo lavoro è importante perché  ragazzi e ragazze che stanno per concludere la stagione degli studi superiori sono tutte persone che nella loro vita hanno già affrontato esperienze molto importanti di conflitto e hanno già alcuni nodi da sciogliere; allo stesso tempo i diciassette anni sono l’età giusta a cui si può affrontare la sfida della ricomprensione dei vissuti con un buon livello di autonomia. È   un buon momento in cui per lo più si raggiunge la comprensione dell’importanza del lavorare su di sé  e si è in grado di affrontare la fatica che questo comporta, motivati dal desiderio ormai maturo di fare buoni investimenti per la vita.

In effetti poi, finendo la quarta superiore, ci si ritrova presto davanti a decisioni importanti rispetto al percorso universitario o lavorativo: è un primo grande appuntamento in cui avere le idee più chiare possibile. Quindi iniziare questo tipo di percorso con un certo anticipo è importante per avere il tempo di familiarizzare con l’ambiente interiore e con gli strumenti proposti, in modo da esercitarsi nell’ascolto di sé  e della realtà. Sarà proprio questo esercizio che allenerà, aiutando ad affrontare con maggiore serenità e determinazione gli snodi che si profilano all’orizzonte.

 

Il percorso è guidato da quattro grandi concetti, quali sono e perché  avete individuato proprio questi?

 

Le parole chiave di questo percorso sono gioia tristezza speranza e timore perché  nominano i principali sentimenti che ci aiutano a capire dove siamo nella vita. I “sentiti” – possiamo chiamarli anche così, per non pensare che stiamo facendo del sentimentalismo – di gioia e tristezza ci aiutano a valutare la situazione che stiamo attraversando ora: sono l’eco affettiva di uno sguardo che abbraccia il presente e il passato, che ci fa percepire se stiamo bene lì dove siamo nella vita, se siamo soddisfatti oppure se abbiamo bisogno di cambiare qualche cosa, se c’è qualcosa che chiede di essere rivisto. Gioia e tristezza, nelle loro diverse tonalità, ci aiutano a capire se siamo davanti ad una esigenza di cambiamento o ad una di consolidamento di ciò che abbiamo già acquisito.

Speranza e timore sono invece “sentiti” che percepiamo quando rivolgiamo l’attenzione verso il futuro. In queste percezioni prendono parola le nostre attese concrete di miglioramento e insieme anche le nostre resistenze al cambiamento: ci rivelano la differenza tra il buono che ancora non ci appartiene e che ci attrae e il buono che invece già fa parte della nostra storia, del nostro stile, e che avvertiamo di dover custodire. Esaminando bene quel che sentiamo con speranza o con timore ci troviamo più facilmente dianzi alla domanda cruciale: che cosa è realmente meglio per la vita? Cambiare o confermare uno stile, un atteggiamento, un percorso? Scopriamo ben presto infatti che ci sono anche ipotesi di cambiamento affascinanti ma ambigue, che sulla distanza potrebbero deteriorare e non migliorare il contesto delle relazioni in cui viviamo e noi stessi. Allo stesso modo possiamo scoprire che in noi ci sono paure o resistenze al cambiamento che fanno il gioco del male, scoraggiandoci dal cambiare solo in nome della conservazione di quel che è più rassicurante, prevedibile e sotto controllo, senza però essere qualcosa di buono in sé.. Quindi lo studio e l’ascolto dei “sentiti” è cruciale, ma non è tutto: insieme occorre maturare una comprensione di quel che fa bene alla vita e di quel che nuoce, perché , crescere in umanità significa procedere verso il meglio, non cambiare tanto per cambiare né  conservare tutto come sta semplicemente perché  si è sempre fatto così.

 

In questi giorni abbiamo affrontato un nuovo tema: che cosa significa “contenimento del caos”?

 

Abbiamo usato questa espressione perché  sappiamo bene che provare ad ascoltare la propria interiorità agli inizi è come aprire una botola sotto la quale troviamo tanto movimento caotico di pensieri e sentimenti. La tentazione è quella di richiudere subito, dicendo a se stessi: “Va bene, è un gran caos, magari ci ritornerò un’altra volta…”. Poi però sappiamo che i rinvii non sono una soluzione, spesso hanno come unico effetto quello di lasciare che le cose si annodino in modo ancora più confuso.

Con la due giorni iniziale abbiamo provato insieme a sollevare il coperchio, a guardare le cose e i movimenti “nella botola” riconoscendoli come impegnativi ma non spaventosi, prendendo consapevolezza di poterli affrontare e di poterci dedicare fruttuosamente alla cura dei “nodi” della vita.

Abbiamo lasciato poi la botola aperta, in modo da poterci sbirciare ancora, ciascuno secondo i propri tempi e le proprie energie, dandoci tempo per l’ascolto, per nuove scoperte e osservazoni, in vista di una loro rielaborazione.

A metà del percorso diventa allora importante “contenere il caos”. Contenere il caos non significa mettere il coperchio sulla botola, ma chiedersi se dopo due mesi di attento ascolto interiore si è pronti ad affrontare alcuni nodi emersi. Può darsi che per qualcuno il caos sia diminuito proprio lasciando che le pressioni interiori prendessero parola (a questo servono gli strumenti di lavoro che abbiamo suggerito) e allora, giunti a metà, si può impostare qualche esercizio più specifico che aiuti ad affrontare meglio i nodi apparsi come più importanti perché  resistenti alla prova del tempo. Per qualcuno i nodi più rilevanti possono risultare ancora molto impegnativi per essere affrontati di petto. Anche questa consapevolezza è un passo importante, perché  si comprende che occorre dedicarsi ancora a qualche esercizio preliminare, rinforzandosi moralmente e spiritualmente in modo da poter poi ritornare sulle questioni più grandi. In breve: ciascuno è impegnato in un cammino irripetibile, e l’accompagnamento personale che proviamo ad offrire attraverso i colloqui individuali ha lo scopo di consentire a ciascuno di procedere secondo il proprio specifico passo. Quindi “contenere il caos” significa riprendere le misure, riadattare il percorso tenendo conto dell’andatura di ciascuno, aiutare il più possibile ognuno a rivalutare le proprie risorse orientandosi verso passi avanti che certo richiedono un po’ di fatica ma che allo stesso tempo siano praticabili e non velleitari. Tommaso d’Aquino lo insegnava: la speranza e la disperazione differiscono per il fatto che la seconda sorge dall’essersi prefissati obiettivi astratti e irrealizzabili!

 

Gli strumenti che ci date possono essere utili a tutte le età? In che modo?

 

L’esperienza di diversi anni di lavoro attesta che si possono avviare percorsi di questo tipo a età diverse. Come dicevo, la stagione della maturazione è forse il tempo migliore per farlo, ma poi occorre tener conto delle esperienze e delle situazioni individuali: per molte persone l’esigenza di approfondimento spirituale sorge anche in tempi successivi, dinanzi a specifiche problematiche o a vissuti che chiedono di essere affrontati in modo diverso dal solito, con maggiore profondità e determinazione.

Funzionano gli strumenti che propongo? Direi di sì, li ho visti utilizzare con molto profitto da persone con età diverse, anche entrate in stagioni avanzate della vita, che sono riuscite a impiegarli con semplicità mettendo a fuoco alcune cose di sé  e del loro modo di essere che prima non avevano notato. Sono strumenti che però devono rimanere elastici: il lavoro di ricerca che continuo a sviluppare con le persone che collaborano con me serve a renderli il più possibile semplici, migliorandone la comprensione e l’utilizzabilità, senza perdere profondità e rigore dal punto di vista antropologico.

In che modo possono essere utili anche al di là del percorso Ulisse? Direi in due modi fondamentalmente: anzitutto continuando a impiegarli nell’ordinarietà della vita, continuando a prendere piccoli appunti su cui poi ritornare per rivederli periodicamente con l’aiuto delle chiavi di lettura che abbiamo messo a fuoco, soprattutto per quanto riguarda i criteri spirituali di riconoscimento di quel che fa bene e di quel che nuoce alla vita, nostra e di tutti. Più si procede con costanza, più diventa agevole fare il punto su dove si è.

Poi però si possono utilizzare in occasioni speciali della vita, quando si avverte di essere di fronte ad una decisione importante. In questo caso bisognerebbe potersi ritagliare due o tre giorni di ritiro, meglio se guidato, o comunque individuare un periodo in cui concentrarsi maggiormente, per ritrovare una più intensa capacità di ascolto interiore.

Quindi si possono usare sia in maniera intensiva, per sostare con più cura su snodi specifici, sia come mantenimento, per tenersi “in forma” nell’ordinarietà della vita.

 

Domitilla Arusa ed Ester Messeri
Studenti QAR2